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5 ottobre 2012

Quando l'indie è peggio delle multinazionali: il muro contro muro tra copyleft e "tutti i diritti riservati"


Mentre in Italia la cosiddetta "musica indipendente" si danna quotidianamente per far fronte alla crisi e trovare un modo per mantenere in piedi il carrozzone, in seno ad essa avvampa un muro-contro-muro tra diverse fazioni ideologicamente contrapposte tra difensori del vecchio "tutti i diritti riservati" e i fautori del copyleft: un dibattito che indirettamente coinvolge la concezione, nel mondo 2.0, della cultura e della conoscenza tout court. Questo articolo prende spunto da un vivace contrasto facebookiano tra me (appoggiato da alcuni amici) e Alberto di Snowdonia riguardante un mio status in cui lamentavo, al giorno d'oggi, nel cosiddetto mondo indie, la scarsa attenzione ai contenuti della produzione artistica in favore di un dibattito concentrato unicamente sulle dinamiche capitalistiche proprie ormai di tale mondo (o quello che ne resta). Tale ossimoro mi appariva come il principale responsabile del dilagante "decorativismo" (l'espressione è del mio amico-cantautore Humpty Dumpty) a scapito della profondità dei contenuti. Alberto replicava (rincarando indirettamente la dose in un'intervista uscita su "Il Fatto Quotidiano", http://www.ilfattoquotidiano.it/?p=373524&preview=true) che in un sistema capitalista "regalare la propria musica è immorale" e che l'idea di distribuire gratuitamente on-line sottintendeva una sorta di concezione razzista, per cui "il musicista è un idealista sfaticato, un buffone che deve lavorare gratuitamente per allietare la, peraltro – quasi sempre inutile – vita del prossimo", non perdendo occasione poi di sottolineare la necessità di capitale per realizzare un "prodotto" tecnicamente impeccabile. Pur comprendendo in parte la visione di Alberto (che mi pare un po' un corto circuito comunistoide-capitalista), è con argomentazioni simili che oggi, in Italia, quell'indotto culturale che si dichiara indipendente (e quindi, in teoria, fuori dalle ferree leggi del mercato) si contrappone con veemenza a chi la cultura la fa (investendo anche a fondo perduto) e la distribuisce liberamente on-line, accusato con infamia di produrre ciarpame, ma soprattutto di diffondere l'aberrante idea che "l'arte non si paga". Queste posizioni, a mio avviso estremamente reazionarie - ce le aspetteremmo dai direttori delle grandi multinazionali, non certo dagli indie - nascondono in realtà una grande incomprensione di fondo sia del variegato "movimento copyleft", sia degli epocali mutamenti in atto a livello della comunicazione globale e della struttura stessa del capitalismo. La prima cosa che chi opera in copyleft e in open source sa benissimo è che tale filosofia tutto vorrebbe tranne diffondere l'idea che "l'arte non si paga".  Nella filosofia copyleft invece si cerca sostanzialmente un modello alternativo, realmente democratico e aggiornato al mondo 2.0 di gestione del diritto d'autore e di finanziamento all'arte e alla cultura. Il cosmo copyleft è inoltre estremamente vario al suo interno e fare in questo modo di tutta l'erba un fascio rischia - nel momento stesso in cui ci si dichiara "progressisti" - di gettare un'ombra oscurantista su tutto ciò che di più dinamico e innovativo si sta muovendo a livello culturale sulla rete e fuori di essa. C'è chi, come SubTerra stessa e il cantautore Humpty Dumpty, si sia d'accordo o meno, mette radicalmente e "politicamente" in discussione il binomio arte-merce e vuole riportare dignità e profondità al concetto di arte, liberandola dalla prigione della concezione dell'artista come un "lavoratore impiegato" e dell'ossessione del successo di massa; c'è chi cerca di adattare il copyleft a nuovo strumento di marketing; c'è chi ancora sottolinea il discorso della democrazia diretta, delle libertà digitali/civili, di un mercato più equo e a dimensione d'uomo in cui la cultura sia comunque liberamente accessibile. In ogni caso, bollare tutto questo come idea dannosa o addirittura immorale dimostra come in genere il mondo indipendente, ormai solo in superficie ribelle e provocatorio, ma anzi giovanilistica merce usa e getta alla stregua di iPhone e cellulari, sia in realtà più vecchio, ingannevole, dannoso e vuoto di ciò che nelle intenzioni vorrebbe combattere. Una bella decorazione patinata ormai priva di contenuti.

Carlo Sanetti
SubTerra Label