Riflessioni su musica, d.i.y. e cultura copyleft aggiornate con estrema lentezza (un post all'anno se va bene) - our webzine is italian only, sorry :(

30 settembre 2008

HUMPTY DUMPTY: inaccessibili profondità racchiuse in uno scrigno di pop-songs 2.0.

Piccola cronaca di qualcosa che ogni tanto ci fa venire in mente il sostantivo Genialità (perché l’arte si gusta lentamente e più volte nel tempo)

Ci capitò di scoprire per caso, non molto tempo fa, un disco italiano dallo strano titolo in tedesco: “Eine traurige Welt für Scheiße Leute” (che dovrebbe tradursi “Un mondo triste per gente di merda”), su di una copertina in cui campeggiavano come un cosmo disordinato tanti piccoli soldatini di plastica su sfondo nero. Il moniker del progetto è quello di Humpty Dumpty, come il famoso uovo antropomorfo, padrone di una sottile ed ambigua arte retorica, che Lewis Carrol fa incontrare ad Alice in “Attraverso lo specchio magico”. Il disco in questione, uscito in download gratuito alla fine del 2006 sul sito di Humpty Dumpty, si rivelò una grande sorpresa, degno di accompagnarsi alla fascinosa fama del famoso eggman: synth pop preziosamente artigianale, do it yourself da cameretta raffinatassimo soprattutto nei testi, che tra momenti catchy da inno MySpace a ricercatezze sonore spigolose electro-new wave scava nell’animo umano fino a raggiungerne con intelligente ironia, cinismo e terribile serietà l’essenza, scoperta al fondo come un involucro pieno di niente a cui guardare con un disincantato e malinconico sorriso.
Dal divertente cinismo ultrapop di “colite spastica”, che si riaggancia nel suo sviluppo al titolo del disco non risparmiando nessuno, nemmeno se stessi, attraverso le parole prese in prestito da Vladimir Holan (poeta del novecento ceco famoso per il suo linguaggio oscuro e le sue visioni pessimiste) in “tutto questo” ed anche più tardi in “l’abisso dell’abisso (III)”, e poi ancora i tristi idilli di “la mia love story” ed “una sera”, “Eine traurige Welt für Scheiße Leute” continua con episodi da psichedelia allucinante, inabissandosi nei tenebrosi riverberi di tanta musica indipendente dei primi 80 e proseguendo a sempre maggiori profondità il proprio scavo dotato di fine citazionismo.
Il primo ascolto lascia un po’ una sensazione di qualcosa di non rifinito, talvolta di stonato, che poi si scopre essere perfettamente funzionale al disegno complessivo.
Quella di Humpty Dumpty è essenzialmente un’opera cantautoriale del messinese Alessandro Calzavara, ma fondamentali sono i contributi nei testi del torinese Renato Q. Pare che i due non si siano mai incontrati di persona, cosa che rende ancora più affascinanti questi lavori figli della nostra meravigliosa-merdosa postmodernità, epoca della istantanea comunicazione globale in un oceano di incomunicabilità.
Ma è il successivo lavoro Q.b., uscito nella primavera 2008, creato a quattro mani dai due, a confermarsi come uno splendido gioiello sotterraneo del pop italiano. Renato Q. ha scritto quasi tutti i testi, Alessandro il resto e poi le musiche con la collaborazione di Rex (ex cantante dei Sonica), Silver Julio, Giuse Rossetti e Chantalle. Tutto perlopiù avvenuto, presumibilmente, in file-sharing.
Q.b. si muove sempre sulle direttive di una produzione “casalinga” che però contribuisce a definirne l’identità. Non si tratta di essere o meno amanti del lo-fi: ci sono grandi dischi prodotti in grandi studi, come ci sono altrettanto grandi dischi realizzati con un “artigianato”, un labor limae che sa valorizzare i propri piccoli mezzi in una composizione di fino che chiameremmo arte. In sostanza Q.b. non sarebbe Q.b. se non suonasse esattamente come suona. Rispetto al precedente sembra dotato di maggiore unità ed organicità dei singoli episodi, sia nelle sonorità che nelle liriche. La vena canticchiabile è decisamente accentuata in un terrorismo pop che sorprende, ma è solo un delizioso involucro zuccheroso che nasconde ricercatezze sonore prelibate ed un nichilismo forse ancor più cinico del precedente lavoro. Contrasto ambizioso e coraggioso da realizzare: ma il risultato è semplicemente eccellente. Definiremmo forse Q.b. un concept misogino, ma sarebbe troppo riduttivo ed ingiusto nei confronti dell’album. Non è una visione fine a sé stessa, né "cattiva" nei confronti del gentil sesso: attraverso la narrazione ironico-disillusa delle assurdità dei rapporti uomo-donna, delle miserie dell’uomo riflesse in quelle della sfera femminile, viene sviscerata un’immagine dell’Uomo a tutto tondo, perso sostanzialmente come individuo in gabbie di incomunicabilità. Nulla si può più costruire, ed il teorema è dimostrato svolgendo il grande problema da cui tutto il mondo umano nasce: quello amoroso. C’è la disillusione che ammicca agli Smiths (“Valentina”), l’illusione a fiori che cela l’altra metà del sogno in un’euritmia di pennate acustiche e basso new wave (“Caterina”), il sarcasmo electropop che cattura come un uncino e che mette alla berlina i nuovi fenomeni da baraccone del web (“Sai Violetta"; una Violetta a caso…), il patetico tentativo di fuga nelle mode di viaggi esotici (Bobby Holiday), l’incubo allucinante del quotidiano (Fòrmica), il post-punk da scenetta di genere che nasconde insidie insospettate (“Gerani”). E poi ancora, il circo del desiderio senza speranza (“Per Noi”, “Un weekend necrofilo”) e ballate lisergiche che si riallacciano per struttura e sonorità a molti episodi del disco precedente, e che questo desiderio lo vivisezionano (“sulla pelle”) fin nei suoi aspetti più nascosti e mostrusosi (“barbablù”). E’ una visione amara che raggiunge le più alte vette nella bellissima “sia questo il verso” (le cui parole sono prese in prestito dal poeta Philip Larkin: una malinconica ballata sulla catena di dolore che l’uomo si trasmette di generazione in generazione) e nella finale Mr. Makake, una canzone cesellata da tastiere e fiati che lascia intravedere addirittura l’estinzione dell’umanità nell’accettazione della propria precarietà esistenziale, raggiungimento finalmente della quiete dopo un lungo percorso, al di là di ogni preteso antropocentrismo.
Viene in mente un paragone con l’Ulisse del Pascoli dei Poemi Conviviali: un Ulisse che ormai vecchio, dopo aver sperimentato e conosciuto tutto, dopo aver incarnato gli alti e nobili valori che spingono l’Uomo a cercare oltre, a superare i propri limiti, si rimette in viaggio alla ricerca di sé, del significato della sua esistenza, ridotto ormai però ad una larva in un percorso a ritroso di un’Odissea che non ha più nulla di mitico (le Sirene restano addirittura mute), fino a naufragare senza risposte sulle spiagge di quella Calypso che gli aveva promesso l’immortalità e che ora, trovandolo morto sulla riva, innalza il suo canto nichilista di dolore e di rinuncia: ” Non esser mai! non esser mai! più nulla, ma meno morte, che non esser più!”
L’unica speranza è forse l’accettazione, quel sorriso ironico e malinconico che può magari riabilitarci e che sovviene quando riconosciamo, per riprendere le parole di “colite spastica” del disco precedente, che è davvero “un mondo triste per gente di merda, come noi, come me, e te, e lei, e lui”.
Molto si potrebbe ancora dire: la sottile trama di rimandi intertestuali fin dalla copertina, la ricchezza quasi antologica dei suoni che prendono a piene mani dall’elettronica dei Kraftwerk, le schegge post-punk dei Cure più melodici e degli Smiths, la tradizione italiana rivissuta attraverso cantautori come Garbo, Faust’O, il primo Battiato fino a ricordare soprattutto i Baustelle del “sussidiario”.
Tutto contribuisce a fare di questo lavoro un contributo preziosissimo, che avrebbe meritato quest’anno la copertina di Blow Up almeno quanto i già citati Baustelle.
Ma Humpty Dumpty, dichiarandosi “solenne spregiatore del compromesso assurto a modus operandi”, ha scelto di autoprodursi ed autodistribuirsi totalmente rendendo disponibili gratuitamente on-line le proprie opere. Il perché potete leggerlo qui, sulla sua pagina myspace: una delle più spietate e lucide analisi che ci sia capitato di leggere di che cosa significhi produrre musica indipendente nell’era del web 2.0 e che noi, sostanzialmente, sottoscriviamo (altrimenti non esisterebbe questo spazio che continuiamo con molta lentezza a riempire di parole e talvolta qualcosa di più).
Il consiglio quindi è di scaricare la sua opera e magari anche di acquistare il cd fisico di Q.b., prodotto in tiratura limitata.
E non lo diciamo per alcun tipo di piaggeria (cosa mai potremmo guadagnarne?): come specificato nell’introduzione parliamo del mondo come ci piacerebbe che fosse, e l’aver scelto di non avere nulla da cui dipendere o qualcuno a cui cercare di piacere per forza con tutte le nostre energie, perdendo il sonno di notte, renderà forse il nostro impatto su questo mondo vicino allo zero assoluto, ma noi immensamente più leggeri e soddisfatti nel doverci vivere in mezzo anche solo grazie a quella particella infinitesimale che ci separa dal nulla. Chi scrive possiede già orgogliosamente una copia di Q.b. in CD (che tra l’altro contiene una deliziosa sorpresa nascosta, oltre ad un artwork sobrio ma molto bello), reputandola un magnifico, CONCRETO prodotto di quest’epoca di deframentazione virtuale dell’io vissuta, in questo caso, in maniera splendidamente critica e consapevole.


Links da seguire:

http://humptyb
log.wordpress.com/

http://www.myspace.com/dumptyhumpty

1 settembre 2008

SUb Terra: chi siamo e perché

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